A proposito dell’articolo di Alex Ross
Perché
ci piace Pollock e la musica colta no?
In un articolo apparso l’8 gennaio 2011 sul quotidiano «La Repubblica», Alex
Ross si domanda perché «benché sia trascorso
ormai un secolo da quando Alban Berg e Anton Webern riversarono sul mondo le
loro aspre sonorità, i classici moderni sono considerati tuttora indigesti da
buona parte del pubblico dei concerti», mentre, al contrario, «in altri campi
artisti non meno avventurosi hanno ricevuto una ben diversa accoglienza. Il
dipinto più quotato della storia è un vorticoso quadro astratto, il N° 5 di
Jackson Pollock, venduto nel 2006 per 140 milioni di dollari. I tycoon e gli
emiri si contendono gli architetti d' avanguardia; e ogni anno, in tutto il
mondo il 16 giugno si organizzano drinking parties ispirati all' Ulisse di James Joyce. Un tempo questi
intoccabili della cultura erano trattati da ciarlatani, o da venditori dei
«vestiti nuovi dell' imperatore», per citare una metafora divenuta ormai un
luogo comune tra i musicofili dissenzienti».
La risposta di Ross è che questo succede perché molto si è
investito sull’arte contemporanea, e troppo poco sulla musica.
Quello che dice Ross è innegabile, tuttavia credo che anche
se si fosse investito moltissimo sulla
musica del Novecento, rimarrebbero oggi alcune difficoltà, dovute a tre
caratteristiche paradossalmente antitetiche del linguaggio musicale:
1 - L’essere un linguaggio astratto, invisibile, e perciò di
difficile comprensione e assimilazione.
2 – Rappresentare, all’opposto, il primo contatto col mondo
che l’essere umano sviluppa, ancora nel ventre della propria madre. Il rapporto
che ci lega al suono, conseguentemente, è viscerale, emotivo, strettissimo.
3 – C’è infine un problema di ‘energia’, che spiegherò in
seguito.
1 - Come la matematica, la musica è un linguaggio astratto
e incredibilmente complesso, ma,
diversamente dalla matematica che non può prescindere dai suoi simboli, è anche
un linguaggio invisibile. In musica la grafia è un’optional di cui possiamo fare totalmente a meno. La maggior parte
delle musiche delle culture della storia dell’uomo non posseggono una
scrittura. Esiste solo il suono… E affrontare un linguaggio invisibile e
astratto non è impresa da poco.
Per questa ragione la comprensione della musica ha bisogno
di tempo, di abitudine, di pazienza e di amore. Un’immagine può colpirci perchè diversa,
perchè nuova, perché incomprensibile, e la rifiutiamo. Ma poi possiamo
ritrovarcela giorno dopo giorno in mille luoghi diversi. Su di una rivista. In
un libro. In una mostra. In televisione. Sulla parete di una casa. In un film.
E gradualmente diventa familiare. Entra in noi. Possono passare anche cinquant’anni.
Ma riesce a entrare nell’immaginario collettivo, ed essere accettata. Così
forse i dipinti di Pollock, e le opere di Duchamp. Ma la musica contemporanea
viene ascoltata una volta. Poi chiudiamo le nostre orecchie e non vogliamo più
saperne. Non è intorno a noi. Non ci arriva in alcun modo. E’ una lingua
sconosciuta e lontana dalla nostra che udiamo per pochi minuti e poi mai più.
Non c’è da meravigliarci che la rifiutiamo.
2 – Ma la musica è anche legata profondamente al nostro
essere e alle nostre emozioni. E’ la voce di nostra madre, ed è la prima lingua
che ci parla il mondo esterno, con i suoni che ci arrivano quando ancora siamo
immersi nel liquido amniotico. Inoltre è il primo veicolo – il pianto e le
grida – col quale impariamo a esprimere la gioia e il dolore. La musica è quindi inestricabilmente
intrecciata al nostro cuore e al nostro stomaco. C’è un rapporto materno,
fisico col suono. Per questa ragione non possiamo perdonarle di essere fredda e
distante, e soprattutto incomprensibile. Possiamo accettare che l’architettura
sia fredda, che la pittura sia incomprensibile, che la scultura sia provocatoria
e graffiante, che la danza e il teatro ci stravolgano e che perfino ci annoino.
Ma la musica no. Dentro di noi la musica rimane canto, il mezzo col quale esprimiamo noi stessi. Ed è molto
difficile – e richiede un lunghissimo training
– l’accettare che sia qualcosa di diverso.Accettare che la musica sia pensiero, sia innovazione, sia esplorazione di mondi sconosciuti. Perchè questo e molto altro può fare la musica, ma ciò a cui la maggior parte delle persone sono abituate è completamente diverso: è di fondo il suono cullante, ammaliante, piacevole di una ninna nanna...
3 – Oggi siamo ormai abituati ad usare la musica come se fosse
una sostanza stupefacente. Siamo in perenne deficit di energia e cerchiamo il
modo di ricaricarci in tutte le maniere possibili. La musica, soprattutto la
musica leggera e in particolare il rock svolgono questa funzione
splendidamente. E’ sufficiente far scivolare il cd nella radio della macchina o
attivare il nostro lettore mp3, e il tappeto percussivo di una pop song va
subito a colpire il nostro cervelletto, a stimolare i nostri tessuti epiteliali
più superficiali, inducendo la produzione di endorfine e noi ci sentiamo
meglio.
Ma la musica d’arte, la musica contemporanea è un’esperienza
completamente diversa. Non dona energia, almeno sul momento, nell’immediato, ma
l’energia assorbe. Perché, come qualsiasi esperienza conoscitiva profonda, l’incontro
con il ‘veramente nuovo’ ed il diverso, creando quella frizione tra conosciuto
e sconosciuto, tra codici diversi alcuni dei quali comprensibili, altri appena
intuibili ed altri misteriosi e sconosciuti, richiede tutta la nostra
attenzione, il coinvolgimento di tutte le nostre facoltà e quindi di tutta la
nostra energia. Un peccato mortale per le leggi del mondo contemporaneo, per le quali non si è più abituati a 'donare' energia.
L. B. 2011