domenica 25 giugno 2017

Glass e Stravinskij


Considerazioni della domenica mattina


Si può pensare a due autori così diversi come Philip Glass e Igor Stravinskij? Non credo. Eppure… eppure dopo l’indigestione della musica di Glass nell’ultimo mese, ho cominciato a cambiare idea.
La mia prima opinione su Glass era che la sua musica sembrasse opera di un allievo dei primissimi anni di composizione, non dotato… Pochi gesti ripetuti all’inverosimile (fondamentalmente due), successioni armoniche (ne conosce al massimo tre) banali e già sentite, ripetute senza sosta.
Effettivamente, dopo aver ascoltato due quartetti (Company e Mishima), il secondo concerto per violino, gli studi per pianoforte e i pezzi per violoncello solo (Songs and Poems per solo cello), la mia opinione sugli elementi costitutivi della sua musica non ha fatto altro che rafforzarsi. Il giudizio qualitativo invece sulla sua opera è cambiato alquanto.
In Mishima, per esempio, i sei movimenti del quartetto utilizzano fondamentalmente due gesti: il tipico ostinato su due note, una sorta di basso albertino minimal, vera cifra della musica di Glass, praticamente il primo gesto che si impara a fare con la mano sinistra sul pianoforte…  e un ribattuto. I primi due movimenti sfruttano entrambi il primo gesto, ma a velocità diverse e con percorsi diversi. Mentre i tre movimenti seguenti sfruttano il ribattuto, e l’ultimo torna al gesto dei primi due. Senza dubbio una scrittura coraggiosa! Chi avrebbe l’ardire di basare una composizione così lunga su tale economia di gesti?

Eppure in Glass i gesti, in sé quasi insignificanti, hanno a che fare col tempo. Non il tempo lineare, naturalmente, della classicità, né quello discontinuo dell’avanguardia e di Stravinskij, ma quello ciclico, vagante, ipnotico del minimalismo (sebbene ben diverso da quello di Reich).
Glass con queste ‘tele di sacco’, cioè materiale di scarto, scadente, seppure piacevole, a tratti melodico, consonante, ma spesso banalotto, costruisce percorsi temporali sfuggenti, che sembrano avere delle direzioni, che si aprono con successioni armoniche anche modulanti (farebbe mai Reich una cosa del genere???), ma poi cominciano a girare vorticosamente su loro stessi, avviluppandosi senza speranza, dando un senso del tempo distorto, diverso, ma ammaliante e  moderno. Continue rinascite si succedono a lunghe stasi, ritorni infinite sfidano il senso di una direzione che a volte si apre improvvisa. Il tutto è gestito da un senso delle durate magistrale, esattamente come in Stravinskij, in cui la durata – come ha scritto genialmente Jonathan Kramer – è il vero oggetto della sua narrazione, e in cui la sua abilità di disporre durate diverse ma proporzionalmente affini e compatibili, bilancia la sua discontinuità estrema, creando una polifonia interessantissima, polifonia temporale prima che di altezze e armonica.
Ecco, è in questo senso perfetto della durata, e nel considerare tale durata (cioè la durata dei singoli frammenti musicali) come il vero oggetto della propria narrazione musicale, che Glass e Stravinskij sono vicini, immensamente vicini direi…

Si assomigliano pure!!! 



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