Considerazioni della domenica mattina
Si può pensare a due autori così diversi come Philip
Glass e Igor Stravinskij? Non credo. Eppure… eppure dopo l’indigestione della
musica di Glass nell’ultimo mese, ho cominciato a cambiare idea.
La mia prima opinione su Glass era che la sua musica
sembrasse opera di un allievo dei primissimi anni di composizione, non dotato…
Pochi gesti ripetuti all’inverosimile (fondamentalmente due), successioni
armoniche (ne conosce al massimo tre) banali e già sentite, ripetute senza
sosta.
Effettivamente, dopo aver ascoltato due quartetti
(Company e Mishima), il secondo concerto per violino, gli studi per pianoforte
e i pezzi per violoncello solo (Songs and Poems per solo cello), la mia
opinione sugli elementi costitutivi della sua musica non ha fatto altro che
rafforzarsi. Il giudizio qualitativo invece sulla sua opera è cambiato
alquanto.
In Mishima, per esempio, i sei movimenti del
quartetto utilizzano fondamentalmente due gesti: il tipico ostinato su due
note, una sorta di basso albertino minimal, vera cifra della musica di Glass,
praticamente il primo gesto che si impara a fare con la mano sinistra sul
pianoforte… e un ribattuto. I primi due
movimenti sfruttano entrambi il primo gesto, ma a velocità diverse e con
percorsi diversi. Mentre i tre movimenti seguenti sfruttano il ribattuto, e l’ultimo
torna al gesto dei primi due. Senza dubbio una scrittura coraggiosa! Chi
avrebbe l’ardire di basare una composizione così lunga su tale economia di
gesti?
Eppure in Glass i gesti, in sé quasi insignificanti,
hanno a che fare col tempo. Non il tempo lineare, naturalmente, della
classicità, né quello discontinuo dell’avanguardia e di Stravinskij, ma quello ciclico,
vagante, ipnotico del minimalismo (sebbene ben diverso da quello di Reich).
Glass con queste ‘tele di sacco’, cioè materiale di
scarto, scadente, seppure piacevole, a tratti melodico, consonante, ma spesso
banalotto, costruisce percorsi temporali sfuggenti, che sembrano avere delle
direzioni, che si aprono con successioni armoniche anche modulanti (farebbe mai
Reich una cosa del genere???), ma poi cominciano a girare vorticosamente su
loro stessi, avviluppandosi senza speranza, dando un senso del tempo distorto,
diverso, ma ammaliante e moderno.
Continue rinascite si succedono a lunghe stasi, ritorni infinite sfidano il
senso di una direzione che a volte si apre improvvisa. Il tutto è gestito da un
senso delle durate magistrale, esattamente come in Stravinskij, in cui la
durata – come ha scritto genialmente Jonathan Kramer – è il vero oggetto della
sua narrazione, e in cui la sua abilità di disporre durate diverse ma
proporzionalmente affini e compatibili, bilancia la sua discontinuità estrema,
creando una polifonia interessantissima, polifonia temporale prima che di
altezze e armonica.
Ecco, è in questo senso perfetto della durata, e nel
considerare tale durata (cioè la durata dei singoli frammenti musicali) come il
vero oggetto della propria narrazione musicale, che Glass e Stravinskij sono
vicini, immensamente vicini direi…
Si assomigliano pure!!!
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