Sul tetto del mondo - nostalgia per una stagione epica ed ormai perduta
Come era bello sentirsi sul tetto del mondo, ascoltando i capolavori del Novecento, come il Requiem di Ligeti, Sinfonia di Berio, il Concerto per pianoforte e Orchestra di Xenakis, solo per citare pochi nomi. Quei lavori raramente ci facevano sentire la mancanza di tutto quello a cui la musica aveva rinunciato, nel secondo dopo guerra. Per raggiungere quelle vette, mai conosciute prima, sopportavamo le punture degli insetti e la stanchezza del viaggio, la fame ed i pericoli, il freddo pungente e il caldo torrido. Ma alla fine, giungevamo in luoghi dove mai prima uomo era giunto, e questa vertigine intellettuale ripagava di qualsiasi rinuncia. Rinunciavamo a tutto quello che poteva cullare le nostre orecchie, ma vogliamo paragonare i risultati raggiunti con questi piccoli sacrifici? Mettere sul piatto della bilancia quelle rinunce, di fronte all'intensità dell’esperienza uditiva ed artistica che ottenevamo in cambio, alla sua ‘verità’ e profondità?
Come mai oggi quel sapore si è perduto? E perché sembrano ormai del tutto insopportabili quegli stessi sforzi, quei sacrifici di un tempo? Forse perché è impossibile digerire gli stessi piccoli gesti nevrotici, le stesse durezze e cacofonie di un tempo, restando, però, nel giardino di casa? Gesti ai quali, essendo venuto a mancare il fondamento ontologico, estetico e filosofico, divengono insopportabili?
Come possiamo oggi patire tante privazioni senza
muoverci d’un passo? Senza nulla
aggiungere, senza nulla scoprire, solo col rigirarci tra le mani, seduti in pantofole nel cortiletto del condominio, le vecchie e
sbiadite foto ingiallite di cento anni fa, con quei ricordi dimessi di anni
rivoluzionari, che oggi hanno il sapore dell’acqua stagnante?
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